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TECNOLOGIE DIGITALI IN MAMMOGRAFIA


Nicola FILOGRANA

U.O. Radiologia AUSL LE/2 P.O. Gallipoli
 


Introduzione
L'avvento della radiologia digitale rappresenta una tappa fondamentale nella storia della diagnostica per immagini.
La tecnologia digitale elettronica preposta all'acquisizione dell'immagine ha suscitato subito grandissimo interesse sia da parte delle ditte costruttrici che hanno visto la possibilità di accedere a nuovi mercati, sia da parte dei radiologi per le sue notevoli e innovative potenzialità.
Però immediatamente è venuta all'attenzione di tutti anche la necessità di coniugare la nuova tecnologia con la necessità di utilizzo del preesistente parco di macchine di radiologia analogica, in considerazione degli elevati costi di acquisto delle nuove apparecchiature digitali.
Un settore della diagnostica, che per la sua peculiarità in fatto di risoluzione spaziale e di contrasto, ha sollevato notevoli problematiche circa l'impiego di tecnologia digitale è senza dubbio la mammografia.
Le prime immagini radiografiche mammarie risalgono al 1913, ad opera di un chirurgo tedesco Albert Salomon, che con una apparecchiatura Rx tradizionale ottenne la prima radiografia di mammelle che aveva asportato; mentre la prima mammografia in vivo fu effettuata nel 1930 da un radiologo americano Stafford L. Warren, su pellicola Kodak con doppia emulsione ed a grana fine, mediante apparecchiatura convenzionale dotata di anodo al tungsteno con tensione di 50-60 Kv.
Nasceva quindi quel settore della radiologia che avrebbe ben presto mostrato peculiarità specifiche.
Nel 1931 Walter Vogel e Paul Scabold si dedicarono alla mammografia con apparecchiature tradizionali; nel 1960 lo statunitense R. Egan ebbe l'intuizione di adoperare spettri a bassa energia mediante tensioni inferiori a 30 Kv, ma con elevati valori di mA: in tal modo ottenne un miglioramento del contrasto dell'immagine cui corrispondeva, però, anche un aumento delle dosi.
Finalmente nel 1967 Charls Gros, direttore dell'Istituto di Radiologia dell'Università di Strasburgo, avvalendosi della collaborazione della Compagnie Gènèrale de Radiologie, progettò e realizzò il primo apparecchio radiografico dedicato alla mammografia, cui venne dato il nome di Seno-graphe I.
Sue peculiari caratteristiche erano: anodo al molibdeno con macchia focale da 0,7 mm., tensione di picco di 28 Kv, distanza fuoco-film di cm.35 e dispositivo di compressione manuale della mammella (tempi di esposizione di 4 secondi).
Numerosi sono gli elementi che influenzano la qualità dell'immagine finale mammografica.
Tutti, però, sono riconducibili a due elementi fondamentali che determinano e caratterizzano il prodotto finale, l'immagine mammografica.
Il primo è rappresentato dal sistema di produzione dell'informazione radiologica, cioè il mammografo, ed il secondo è costituito dal sistema di acquisizione, in senso lato, dell'immagine.


PRINCIPI FISICI E TECNOLOGICI DEI SISTEMI MAMMOGRAFICI

Parametri di ottimizzazione dell'immagine in mammografia

1) Geometria della radiazione

La qualità dell'immagine è direttamente correlata con le dimensioni della sorgente radiogena e con le distanze tra sorgente-mammella-sistema di acquisizione.
Le dimensioni del campo irradiato, a parità di sorgente, sono direttamente proporzionali al quadrato della distanza, mentre l'intensità del fascio è inversamente proporzionale al quadrato della distanza.
Durante il suo percorso in aria la radiazione, per tensioni dell'ordine di 20 Kv, subisce una riduzione del 10% in 10 cm. per effetto degli atomi di ossigeno e di azoto.

2) Tipo di radiazione


I fasci monocromatici di radiazione, nell'attraversare un determinato materiale, riducono la loro intensità per effetto della interazione tra i fotoni X e gli atomi del materiale attraversato, secondo la correlazione:
I = Io e
I : intensità del fascio trasmesso
Io: intensità del fascio incidente
e = 2,71828

Inoltre I è inversamente proporzionale allo spessore ed al coefficiente di attenuazione lineare ( m ) del materiale attraversato.
L'energia media del fascio incidente Io è valutata in SEV ed è inversamente proporzionale al " coefficiente lineare di attenuazione " del materiale irradiato.
Ciò significa che per un basso valore di " m " si avrà una notevole penetrazione del fascio incidente.
Il SEV indica, quindi, il potere di penetrazione del fascio radiante definito dalla sua energia: in mammografia, per 28 Kv, deve essere superiore a 0,3 mm. Al.

3) Contrasto dell'immagine

Il contrasto, elemento determinante in mammografia, è definito come differenza logaritmica tra due intensità di due elementi contigui e di medesimo spessore.
Il contrasto dell'immagine radiografica finale dipende da:
A Contrasto intrinseco dell'oggetto
B Contrasto del sistema di acquisizione dell'immagine.
I fattori che intervengono sul contrasto intrinseco dell'oggetto sono:
Valore della tensione Kvp ( quindi "qualità" della radiazione );
  1. Filtrazione del fascio X;
  2. Riduzione della diffusione dei raggi X;
  3. Caratteristiche del tubo radiogeno;
  4. Generatore d'alta tensione;
  5. Esposimetri automatici.


4) VALORE DELLA TENSIONE Kvp


L'immagine mammografica, sia analogica sia digitale, rappresenta " un insieme di differenze di contrasto " in quanto l'assorbimento della radiazione incidente da parte della mammella è fortemente influenzato dallo scarso contrasto e dalla disomogeneità delle numerose strutture che la compongono.
Aumentando lo spessore della mammella aumenta l'attenuazione; aumentando l'energia della radiazione si riduce l'attenuazione della stessa, che, per basse energie utilizzate in mammografia ( inferiori a 10 Kev ), avviene per diffusione Thompson ( il fotone incidente eccita l'atomo bersaglio cedendogli la propria energia ; atomo bersaglio che ritorna stabile mediante emissione di un fotone avente la stessa energia del fotone incidente, ma secondo una direzione diversa ).
L'effetto Thompson in mammografia ha scarsa importanza e determina "velatura della pellicola".
Per energie > 10 Kev si ha effetto Compton, il quale parimenti induce velatura della pellicola.
Invece l'effetto fotoelettrico, non dando luogo a radiazione diffusa, determina una soddisfacente definizione spaziale delle varie strutture componenti la mammella.
Perciò, in considerazione del modesto contrasto d'organo della mammella, le basse energie fotoniche sono le più idonee ad essere impiegate in mammografia, in quanto, nel loro range, l'interazione con il substrato biologico si avvera mediante effetto fotoelettrico.
Pertanto in mammografia trovano impiego ottimale fotoni di energia entro i 20 Kev.

5) FILTRAZIONE DEL FASCIO X


Bisogna analizzare diversi tipi di filtrazione:
filtrazione intrinseca ( cuffia in vetro; olio; materiale della finestra): assorbe i fotoni a bassa energia e pertanto riveste un ruolo importante per tensioni < 30 Kv, ed è pari solitamente ad un equivalente di mm. 1 di Al.
Filtrazione aggiuntiva: serve per eliminare le radiazioni di bassa energia, mediante effetto fotoelettrico. Si ottiene con filtri in Alluminio, Molibdeno , Rodio.
Filtrazione di delimitazione dei contorni: posizionata in corrispondenza del diaframma collimatore, è costituita da filtri di Al di spessore diverso in rapporto all'anatomia dell'organo e servono ad uniformare il fascio incidente, compensando le differenze di spessore e di densità dell'organo stesso.

6) RIDUZIONE DELLA DIFFUSIONE DEI RAGGI X

Ciò si ottiene mediante la corretta collimazione del campo di irradiazione e mediante l'uso di griglie mobili.

7) CARATTERISTICHE DEL TUBO RADIOGENO

La moderna tecnologia ha messo a punto tubi radiogeni bifocali dedicati esclusivamente alla mammografia, con fuochi delle dimensioni 0,1 mm. e 0,3 mm, che permettono una migliore risoluzione spaziale e ingrandimenti d'immagine.
In considerazione del fatto che all'incirca il 25% delle donne presenta un "seno denso", l'aumento dell'assorbimento delle radiazioni da parte dei tessuti comporta una riduzione del contrasto.





Per poter studiare in maniera ottimale mammelle di elevato spessore o densità è necessario disporre di vari spettri di radiazioni, tendenzialmente monocromatici, da scegliere in funzione del coefficiente di attenuazione della mammella.
Pertanto dalla combinazione dell'uso di piste anodiche di materiali diversi, con filtrazioni variabili, è possibile ottenere spettri a stretta banda in funzione dei valori di tensione utilizzati.

8) GENERATORE D'ALTA TENSIONE

In un mammografo il generatore d'alta tensione rappresenta un elemento molto importante; esso deve avere la capacità di produrre una potenza ed una corrente anodica sufficiente ( 40 mA per fuoco fine e 100 mA per fuoco grande ), mAs elevati ( oltre 600) associati ad elevata stabilità e riproducibilità delle prestazioni.

9) ESPOSIMETRI AUTOMATICI

La selezione dei mAs avviene generalmente grazie all'impiego di un esposimetro automatico collegato con una camera di ionizzazione, che scandisce densità e spessore della mammella.
In particolare l'AES ( Automatic Exposure set-up ) permette diverse modalità di lavoro, dallo "standard" alla tecnica che privilegia il contrasto o la dose.



SISTEMI DI ACQUISIZIONE DELL'IMMAGINE IN MAMMOGRAFIA

SISTEMA ANALOGICO


Per sistema analogico intendiamo un dispositivo che tratta grandezze che rappresentano per analogia le variabili del sistema da studiare.
In particolare il formato analogico è definito come una procedura senza soluzioni di continuo, identificabile in una serie analitica di parti, suscettibile di misure in termini comparativi.
Per sistema digitale si intende, invece, un dispositivo che tratta grandezze espresse in forma meramente numerica.
L'imaging digitale è costituita da informazioni discrete, rappresentate da un insieme definito di punti esprimibili in termini numerici.
In campo mammografico il sistema analogico è rappresentato dal complesso schermo-pellicola.
Sebbene tale complesso abbia, nel corso degli anni, rappresentato il mezzo standardizzato di espressione dell'immagine mammografica, la pellicola al bromuro d'argento presenta come sistema di imaging, affianco ad invidiabili indiscussi vantaggi, pure molti limiti .
Vantaggi sono senza dubbio:
a) la semplicità d'uso;
b) il basso costo;
c) un pronto adattamento alla situazione d'uso;
d) una buona efficacia clinica.
Il suo limite principale, ma anche sua migliore qualità, è la semplicità e affidabilità come strumento valido ai fini di conseguire tre funzioni basilari dell'imaging: rivelazione delle radiazioni ionizzanti; rappresentazione dell'immagine; archiviazione.
Tuttavia essa non rappresenta il mezzo ottimale per alcuna di tali funzioni.
La pellicola radiografica, quale rivelatore di radiazioni, presenta un limitato range dinamico, essendo in genere < 1:500.
Ciò significa che la pellicola non consente una ampia variazione dell'esposizione a raggi X senza rischiare la saturazione: esposizioni troppo elevate determinano "sovraesposizione" con prevalenza dei neri, mentre esposizioni troppo basse inducono immagini sottoesposte, con prevalenza del bianco.
Pertanto errori nella dose di esposizione possono essere tollerati solo entro limiti molto ristretti.
Per quanto attiene alla risoluzione spaziale, col sistema schermo-pellicola, in mammografia sono raggiungibili sino a 15-20 lp/mm.
Ogni pellicola radiografica, accoppiata allo schermo, come mezzo di visualizzazione dell'immagine, è caratterizzata da una sua specifica latitudine, da una densità, da un velo di base, e produce una immagine che dobbiamo definire "unica e fissa ", in cui trovano rappresentazione più o meno buona le spesso marcate disomogeneità o variazioni asimmetriche di densità dei vari tessuti che costituiscono l'organo rappresentato.
Una volta ottenuta l'immagine radiografica, l'unico modo per migliorare la visualizzazione delle zone più o meno scure è quello di variare l'intensità della sorgente luminosa utilizzata par la visione.
In breve, anche quando la densità globale è ottimale, il range ottico ed il contrasto dell'immagine sono sempre relativamente limitati e immodificabili.
Perciò, principali limiti della pellicola sono:
unico processo di acquisizione, visualizzazione e archiviazione;
capacità di acquisizione limitata dalla curva caratteristica.


SISTEMI DIGITALI

Nei sistemi digitali l'immagine analogica viene scomposta in una serie di punti (processo di campionamento) cui vengono fatti corrispondere altrettanti valori numerici di riferimento.
Il campo di visualizzazione è da intendersi scomposto in elementi unitari, i pixel, cui vengono attribuiti valori di grigio corrispondenti a ciascun punto del campionamento.
Ne consegue che la digitalizzazione è caratterizzata da campionamento (pixels) e da quantizzazioni (bits).
Il sistema digitale presenta le seguenti caratteristiche:
  1. Possibilità di ottenere un contrasto ottimale dell'immagine, indipendente dalla
    appropriatezza o meno dell'esposizione.
  2. Elaborazione elettronica dell'immagine per amplificare le differenze di attenuazione tissutale.
  3. Riduzione della dose di irraggiamento.
  4. Possibilità di ottimizzare separatamente il processo di rilevazione dell'immagine e di archiviazione.
  5. Possibilità di consultazione e di trasmissione a distanza delle immagini.
  6. Capacità di impiegare sistemi computerizzati di aiuto alla diagnosi.
  7. La qualità dell'informazione dell'immagine dipende dalla qualità del sistema digitale.



PECULIARITA' DELLA MAMMOGRAFIA DIGITALE
RISOLUZIONE DI CONTRASTO

Le informazioni anatomiche di una immagine mammografica sono rappresentative in forma bidimensionale delle attenuazioni sovrapposte lungo l'asse di distribuzione dell'energia radiante che emerge dal paziente.
Sulle pellicole analogiche tradizionali, tali dati vengono registrati come zone di maggiore o minore annerimento della gelatina al bromuro d'argento.
Nella radiologia digitale, invece, l'attenuazione subita dal fascio di radiazioni nell'attraversare il corpo del paziente viene convertita in forma elettronica, digitalizzata e codificata numericamente in elementi discreti di immagine ( i pixels); la risoluzione spaziale di una matrice dipende dal numero dei pixels.
L'energia della radiazione che colpisce il detettore può essere temporaneamente catturata in un mezzo che produce luce in modo proporzionale. Tale luce è convertita in un segnale elettronico, che può essere amplificato prima della sua trasmissione da un convertitore analogico-digitale che converte l'ampiezza dei segnali in elementi discreti.
La risoluzione di contrasto con cui i vari pixel evidenziano differenze di intensità della radiazione emergente, rappresenta la risoluzione di densità ed è determinata dalla profondità dei bits di ciascun pixel.
Una profondità di bit di 8, 10, 12 esprime valori 2 elevati a 8, 10, 12 di livelli di intensità di radiazioni per ciascun pixel ( cioè 512, 1024, 4096 livelli di intensità).
Tali profondità di bit contengono molti più livelli di intensità di quanti possano essere percepiti dall'occhio umano ( circa 60 livelli di grigio); i livelli di grigio eccedenti possono essere percepiti attraverso una idonea regolazione del livello della finestra di visualizzazione.
Pertanto l'immagine digitale permette di rilevare minime differenze di attenuazione del fascio (ovvero minime variazioni di densità) che non possono essere rilevate con l'imaging analogico.


RISOLUZIONE SPAZIALE

Nei sistemi digitali in mammografia la risoluzione spaziale è limitata sia da fattori geometrici dipendenti dalle dimensioni del fuoco, sia da caratteristiche del rivelatore digitale.
C'è da dire che la mammografia analogica, per la impossibilità di ottimizzare la detezione e la visualizzazione dell'immagine, difficilmente riesce ad evidenziare microcalcificazioni isolate di dimensioni < 130 millimicron, nonostante la elevata risoluzione spaziale (15-20 pl/mm.).
Nei rivelatori digitali strutturati ad elementi discreti ( CCD e flat panel) la risoluzione spaziale è determinata dalla dimensione dei pixels.
Nei rivelatori che eseguono la digitalizzazione in modo differito ( imaging plate ) la risoluzione spaziale dipende sia dalle dimensioni del dispositivo che effettua la scansione sia dall'intervallo di campionamento.
Ai fini della risoluzione spaziale di un sistema digitale un parametro molto importante è l' MTF (= funzione di trasferimento di modulazione), che esprime una misura quantitativa della risoluzione espressa in pl/mm in condizioni di elevato contrasto.
Essa rappresenta la risposta del sistema a tutte le frequenze spaziali possibili di un fantoccio o di una mammella.
La MTF di un sistema risulta dalla sommatoria delle MTF dei singoli componenti ed esprime il rapporto di modulazione tra il valore di un segnale in uscita e il valore del corrispondente segnale in ingresso.

MTF= modulazione in uscita
         modulazione in entrata

La MTF si rappresenta con una curva che esprime l'accuratezza con cui il sistema riproduce i dettagli dell'organo esaminato in rapporto al variare della loro frequenza spaziale ( = della loro dimensione).
Per il complesso schermo pellicola tradizionale il limite di risoluzione spaziale è di 15-20 ppl/mm, mentre per i sistemi digitali si aggira intorno a 5-7 pl/mm in conseguenza delle dimensioni del pixel e del rumore.
Pixels ridotti comportano aumento delle dimensioni delle immagini con problemi di gestione dei sistemi di calcolo.
Tuttavia bisogna riconoscere che la MTF non è il parametro più importante per definire la "qualità" di un sistema digitale.

RUMORE

Il rumore quantico, che interessa tutti i sistemi digitali, dipende dalla statistica con cui i fotoni mediamente si distribuiscono.
Supponendo uniforme sia il fascio di radiazione sia il rivelatore digitale, i fotoni si distribuiscono secondo la legge di Poisson.
Se la esposizione a raggi X è ridotta, i fotoni si distribuiscono secondo la statistica di Poisson e l'immagine è rumorosa, cioè con basso rapporto segnale/rumore.
Il rumore strutturale dipende invece dalla non uniformità del rivelatore.
Nei CCD e nei flat panel esso è imputabile alla diversa sensibilità dei pixels o alla presenza di "pixels morti".
Più complesso è il problema della non uniformità del rivelatore degli imaging plate, nei quali prima avviene l'acquisizione analogica dell'immagine e poi la sua digitalizzazione.


DQE ( Detective Quantum Efficiency)

La DQE, Efficienza Quantica di Detezione, costituisce il parametro più importante per valutare la qualità del sistema ed esprime l'efficienza con cui il sistema trasferisce il rapporto segnale/rumore dall'ingresso all'uscita del sistema.
DQE = [( S/N ) / ( S°/N° )] elevato al quadrato.

S: segnale in uscita
N: rumore in uscita
S°: segnale in entrata
N°: rumore in entrata

La qualità dell'immagine dipende, oltre che dalla risoluzione spaziale (MTF), anche dal contrasto e dal rumore con cui essa è ottenuta.
Infatti i sistemi digitali, forniti di una risposta lineare e range dinamico più ampio del sistema schermo-pellicola, permettono di evidenziare dettagli non visibili sul film.
Inoltre i sistemi digitali consentono di intervenire sull'immagine mediante variazioni di luminosità e di contrasto.
Ai fini dell'accuratezza della diagnosi, poi, fattori importanti sono la qualità dei monitor di refertazione, la luminosità ambientale e persino la distanza alla quale il radiologo guarda le immagini.
A parità di dose una DQE più elevata significa una migliore qualità dell'immagine; inversamente, una volta stabilita la qualità dell'immagine, un sistema con DQE più elevata significa che esso permette di ottenere tale risultato con una dose minore.
La dose di una mammografia analogica è stimata di circa il 30% superiore alla dose di una mammografia digitale.


MAMMOGRAFIA DIGITALE INDIRETTA (COMPUTED RADIOGRAPHY)

Essa si avvale di imaging plate (IP), di piastre speciali , che sono rivelatori di raggi X che sfruttano le proprietà di una particolare classe di materiali: i fosfori a memoria o fosfori fotostimolabili.
Tali supporti risalgono al 1926 e sono simili ai tradizionali schermi di rinforzo che presentano emissione di luce per assorbimento di radiazioni; differiscono però per la capacità di conservare l'energia assorbita in una immagine latente sulla piastra, la quale, eccitata da una sorgente di luce di grande lunghezza d'onda, produce una caratteristica fosforescenza.
La risoluzione spaziale intrinseca delle piastre ai fosfori è elevata; la inferiore risoluzione del sistema è imputabile alla risoluzione intrinseca di punti centrali (centri F), dalla migrazione di energia interna ai fosfori, dal grado di diffusione ottica del raggio di lettura, dalla macchia focale del raggio laser di lettura, dall'entità della fotostimolazione indotta dal laser subito oltre l'area di lettura (effetto blooming).
Le piastre ai fosfori Fuji ST e HR sono costituite da uno strato di 150 millimicron di fluoroalogenoro di bario, attivato all'Europio 2+ su un supporto organico di plastica flessibile.
Viene poi aggiunta una sostanza antistatica per ridurre gli artefatti da energia statica.
A seconda dei costruttori varia lo spessore, lo stato di agglomerazione, la distribuzione delle dimensioni delle particelle ed il rapporto pigmento/resina del BaFBr:Eu2+ e del materiale del supporto.
I fosfori a memoria di ultima generazione hanno aggiunto alogenuro di Jodio e permettono di utilizzare laser di minore potenza e con minor consumo di energia.
Quando gli elettroni delle molecole contenenti Europio 2+ vengono esposti alla radiazione o alla luce ultravioletta, sono rilasciati e si forma Europio 3+.
Gli elettroni liberi sono intrappolati dal Fluoro; poi possono essere liberati a seguito di una esposizione a luce visibile di grande lunghezza d'onda.
Gli elettroni liberati tornano alle molecole di Europio 3+ con emissione di fotoluminescenza , entro 7 msec.
La relazione tra la quantità di radiazioni assorbita e l'eventuale quota di luce emessa è lineare, con un range dinamico molto ampio (circa 1:10.000).
L'immagine latente dei fosfori a memoria può essere conservata per un certo lasso di tempo dopo l'esposizione, presentando una riduzione del 25% dopo 8 ore.
Dopo che la piastra è stata analizzata dal raggio laser per ottenere l'immagine, può essere cancellata mediante esposizione ad una luce visibile di forte intensità e quindi essere riutilizzata.
La luce emessa dai fosfori a memoria al lettore laser, è raccolta da un sistema di fibre ottiche e trasferita ad un fotomoltiplicatore.
Il segnale analogico subisce una amplificazione di tipo logaritmico e viene trasformato in formato digitale mediante un convertitore analogico-digitale.
La risoluzione della piastra varia in rapporto alla densità della sua matrice: questa varia in rapporto alle dimensioni della piastra stessa.
La risoluzione spaziale dei sistemi CR in commercio ( es. Agfa ADC Compact) va da 6 a 9 pixel/mm in funzione del formato della piastra; la risoluzione standard della matrice in uscita è di circa 2 x 2,5 Kpixel.
Quindi, ricapitolando, in un sistema digitale indiretto, l'analizzatore effettua la scansione delle piastre-immagine esposte, converte le informazioni in dati digitali e trasferisce automaticamente le immagini al computer di trattamento immagine; esso ha la funzione di visualizzazione ed elaborazione delle immagini.

MAMMOGRAFIA DIGITALE DIRETTA

FLAT PANEL

Derivano dallo sviluppo di tecnologie legate alle matrici attive dei display a cristalli liquidi e dei pannelli solari.
Un flat panel può essere considerato un circuito integrato di grande formato (matrice attiva), contenente milioni di elementi di un semiconduttore, tutti identici, disposti su un substrato, in genere vetro.
Ogni elemento della matrice attiva corrisponde ad un pixel dell'immagine. In considerazione della scarsa efficienza dei flat panel ai raggi X, si ricorre ad un sistema di conversione del segnale a raggi X in altro tipo di segnale, accoppiando alla matrice attiva uno strato di materiale scintillatore o un fotoconduttore, che producono luce o elettroni.
I flat panel con cattura diretta dei raggi X sono costituiti da una matrice attiva accoppiata ad un fotoconduttore, generalmente selenio amorfo: la carica elettrica determinata dall'interazione dei raggi X col fotoconduttore è recepita direttamente dalla matrice, i cui pixels reagiscono come condensatori. La carica elettrica resta così immagazzinata nel condensatore sino alla fase di read-out. La scarsa dispersione del segnale dovuta alla raccolta diretta degli elettroni prodotti dai raggi X da parte del selenio del flat panel, rappresenta un vantaggio ai fini della risoluzione spaziale.
Sia nella forma diretta, sia in quella indiretta, il segnale viene inviato al sistema elettronico di read-out, amplificato e convertito in forma numerica, proporzionale all'intensità del segnale stesso.
Il range dinamico dei flat panel, cioè il rapporto tra segnale massimo che induce la saturazione del pixel e il segnale minimo (=rumore) è molto più ampio ( ca. 300-10.000 : 1 ) del range dinamico del sistema schermo/pellicola ( ca. 25-100 : 1 ), ed è lineare su tutto l'intervallo.
Nei flat panel con cattura indiretta dei raggi X, la matrice attiva è accoppiata a ioduro di cesio, che converte il segnale raggi X in luce; questa interagisce con il silicio amorfo che produce elettroni, inviati poi all'elettronica di read-out.



Relativamente ai flat panel bisogna considerare due parametri:
fill factor: correzione via software della porzione di area dei pixel non sensibile in quanto occupata dai componenti elettronici;
flat field correction: ogni pixel della matrice ha una sua risposta; ciò determinerebbe una disomogeneità dell'immagine. Perciò la flat field correction elimina la disuniformità di risposta dei pixels e l'effetto dei pixels "morti", dividendo l'informazione relativa a ciascun pixel per il "flat field medio": produce quindi una equalizzazione delle immagini.

RIVELATORI A CCD

Impiegati nel campo della fotografia e dell'astronomia, sono rivelatori di immagine sollecitati da radiazioni elettromagnetiche della sfera del visibile.
CCD ( Charge Coupled Device) o Dispositivi a trasferimento di Carica, sono costituiti da unità elementari, pixels, che registrano una carica direttamente proporzionale all'intensità della luce incidente. Presentano ampio range dinamico, una risposta lineare, ed efficienza quantica sino all'80%.
Il segnale da loro rilevato è direttamente inviato all'elettronica di read-out. I CCD sono costituiti da monocristalli di silicio e pertanto le loro dimensioni sono limitate a qualche cm2, con pixel molto piccoli, sino a pochi micrometri. Ne scaturisce da un lato un'alta risoluzione spaziale, dall'altro un loro impiego molto limitato. Per ottenere una mammografia panoramica, vengono accoppiati a sistemi ottici con lenti o fibre ottiche che ne riducono la risoluzione spaziale.
Anche i rivelatori a CCD necessitano di flat field correction.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

L'avvento e l'evoluzione della tecnologia digitale e del calcolo computerizzato comportano la rimozione di contorte barriere concettuali inerenti la separazione tra immagini e numeri.
La possibilità di scomporre le immagini in numeri e, viceversa, di trasformare fenomeni numerici in immagini, si afferma in virtù dell'intuizione che i fenomeni numerici sono molto più suscettibili di manipolazioni geometriche interattive e più ampiamente comprensibili se convertiti in un formato analitico.
Pertanto nei sistemi digitali in radiologia, i valori numerici legati alle intensità delle radiazioni emergenti dal corpo umano, sono sottoposti a complessi calcoli matematici per la produzione di una immagine comprensibile, suscettibile di manipolazioni finalizzate a creare immagini ancora più significative dal punto di vista diagnostico.
La potenzialità di aumentare il valore diagnostico di alcuni particolari o di degradare altri segni, pone la necessità che il radiologo sia preparato ad utilizzare responsabilmente la nuova tecnologia digitale, orientata esclusivamente a incrementare lo stato di salute della collettività.


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